Le prestazioni di servizi rese tra due stabili organizzazioni della stessa casa madre (con sede in Germania), stabilite rispettivamente in Italia e nel Regno Unito, nella peculiare circostanza in cui quest’ultima (ossia la branch britannica) faccia parte di un Gruppo IVA nel Regno Unito, non rientrano nell’ambito di applicazione dell’IVA,  poiché il Gruppo IVA istituito in un Paese terzo (Regno Unito) non è paragonabile a un Gruppo IVA istituito in uno Stato membro dell’UE.

Con tale precisazione (Risposta a istanza di interpello 314/2023), l’Agenzia delle Entrate supera una precedente interpretazione (Risposta a istanza di interpello 756/2021) laddove si sosteneva che, anche dopo la Brexit, i principi del caso Skandia erano applicabili anche nel caso di un Gruppo IVA istituito nel Regno Unito (e quindi in quel frangente l’Agenzia delle Entrate italiana aveva concluso che la casa madre e la sua branch non erano più un unico soggetto passivo ai fini IVA a causa del fatto che uno di essi faceva parte di un Gruppo IVA del Regno Unito). L’inversione dell’orientamento interpretativo dell’Agenzia delle Entrate è in linea con le linee guida risultanti dalla 119a riunione del 22 novembre 2021 del Comitato IVA, che ha ritenuto che il regime del Gruppo IVA costituisce una nozione autonoma del Diritto dell’Unione e che, di conseguenza, i soggetti stabiliti al di fuori dell’Unione europea che beneficiano di un regime di Gruppo IVA in tale Paese terzo non possono essere trattati come un unico soggetto passivo nel sistema IVA dell’UE.